lunedì 10 giugno 2013

KANT: LA DIALETTICA TRASCENDENTALE

La Dialettica trascendentale costituisce la seconda parte della logica trascendentale, in cui Kant cerca distabilire se la Metafisica possa essere considerata una scienza.  Con il termine Dialettica trascendentaleKant intende l'analisi e lo smascheramento dei ragionamenti fallaci della metafisica.
La metafisica infatti, nonostante la sua infondatezza, rappresenta “un'esigenza naturale einevitabile della mente umana”, di cui la filosofia intende chiarire l’origine. La metafisica nasce dalla ragione;questa, a sua volta, in partenza, non è altro che l'intelletto stesso, il quale essendo la facoltà logica di unificare idati sensibili tramite le categorie, e portato a voler pensare, anche senza dati.Kant ritiene che questo voler procedere oltre i limiti dell’esperienza derivi dalla nostra innata tendenza all'incondizionato. Ovvero la nostra ragione, mai soddisfatta del mondo fenomenico è attratta verso il regnodell'assoluto e quindi verso una spiegazione globale di ciò che esiste. Questa spiegazione di Kant si basa sulle tre idee trascendentali che sono proprie della ragione (anima , mondo e Dio).
L'errore che compie la metafisica è quello di trasformare queste tre esigenze (mentali) di unificazione dell'esperienza in altrettante realtà, dimenticando che noi non abbiamo mai a che fare con la cosa in sé, ma solo con il fenomeno. Quindi  la “Dialettica trascendentale" vuol essere lo studio critico e la denuncia delle peripezie e dei naufragi  della metafisica, ovvero delle avventure e dei fallimenti del pensiero quando procede oltre i limiti dell'esperienza possibile.

Alla domanda se  è possibile la metafisica come scienza  risponde che è  impossibile conoscere scientificamente il mondo noumenico (noumeno). Ma allo stesso tempo, afferma  kant, non si può negarne   l’esistenza, come dimostra la continua tendenza naturale dell’uomo  di andare oltre l’esperienza per cercare di conoscere il soprasensibile.


VIDEO: IMMANUEL KANT PER FERNANDO SAVATER,  filosofo e scrittore spagnolo. Uno dei più noti intellettuali spagnoli di oggi.







giovedì 6 giugno 2013


Hannah Arendt:

"LA BANALITA' DEL MALE"

 
 

 

 

 

 TOTALITARISMI E DEMOCRAZIE



-La crisi del 1929 e il New deal
Negli anni venti il primato economico passò saldamente nelle mani degli Stati Uniti e la loro produzione industriale conobbe un boom senza precedenti, tuttavia erano presenti elementi di debolezza: infatti si verificò una crisi di sovrapproduzione amplificata dalla speculazione finanziaria. Una grande quantità di denaro proveniente dai profitti industriali venne investita nelle speculazioni di borsa, ma il 24 ottobre 1929 i valori delle azioni a Wall Street crollarono: si diffuse il panico e si avviò una spirale di caduta dell’economia con fallimenti di banche, imprese, privati e un’ondata di licenziamenti.
La crisi si rivelò lunga ed ebbe conseguenze gravissime a livello internazionale. In Europa fu particolarmente grave in Germania e in Austria, la cui ricostruzione era sorretta dai capitali statunitensi. In generale la crisi fu un fattore di grave instabilità internazionale e spinse tutti gli stati ad adottare politiche protezionistiche e a svalutare le monete.
Il programma del nuovo presidente statunitense Roosveelt, eletto nel 1932, mirava a combattere la disoccupazione e la miseria e a equilibrare l’iniziativa privata attraverso un decisivo intervento dello stato nell’economia. Il New deal, come fu chiamata la politica di riforme, promosse la ripresa finanziaria finanziando una serie di grandi opere pubbliche, che diedero lavoro ai disoccupati e aiutarono la ripresa economica delle zone più colpite.
 

-Il nazismo
 
-Germania nel dopoguerra
La Germania nel dopoguerra attraversò una drammatica crisi: nel 1918 fu approvata la costituzionedi Weimar ma la neonata repubblica federale affrontò da subito gravi problemi: la propagandanazionalista e militarista, la violenza delle organizzazioni paramilitari di destra, l’inflazione e lasvalutazione della moneta alimentarono un forte malcontento, particolarmente nel ceto medio. Lasituazione si stabilizzò nel 1924 grazie all’aiuto economico degli Stati Uniti (piano Dawes). Nelfrattempo però era sorto il Partito nazionalsocialista dei lavoratori di Adolf Hitler, con unprogramma che mescolava antisocialismo, nazionalismo, razzismo, antisemitismo.
     
La Germania fu il paese europeo in cui la crisi del 1929 ebbe le ripercussioni più drammatiche. La disoccupazione colpì milioni di operai e il dissesto economico e sociale creò gravi tensioni, che furono sfruttate dal partito nazista di Hitler, conquistando consensi sempre più vasti. Il suo programma proponeva un nazionalismo aggressivo ed espansionistico, centrato sull’esaltazione della forza e dei caratteri fisici e psicologici del popolo tedesco, l’antisemitismo e la promessa di sconfiggere la miseria e la disoccupazione.
Nel marzo 1933 Hitler diventa capo di governo, abolì ogni libertà politica e sociale e impose la dittatura: dichiarò illegali i sindacati, i partiti e chiuse tutti i giornali. Attuò una sistematica repressione del dissenso (ebrei, democratici, comunisti, cattolici) scatenando un’autentica caccia alle opposizioni attraverso le SS e la Gestapo; A Dachau venne creato il primo campo di concentramento. Nell’agosto 1934, alla morte del presidente Hindenburg, Hitler assunse anche la carica di capo dello stato e realizzò una completa fusione tra il partito nazista e lo stato. Hitler, oltre al sostegno dei ceti medi e dell’esercito, ottenne anche l’appoggio della grande industria.
Nel 1935 furono promulgate le leggi di Norimberga, con cui gli ebrei venivano privati della cittadinanza tedesca e di tutti i diritti. Dopo la “notte dei cristalli” del 10 novembre 1938 si avviò la sistematica persecuzione degli ebrei nei campi di concentramento. Il totalitarismo nazista, soppressa ogni libera attività sindacale, controllava direttamente tutti gli aspetti della vita lavorativa e produttiva. I più moderni mezzi di comunicazione di massa, come la radio e il cinematografo, furono posti al servizio di un’opera quotidiana di manipolazione delle coscienza.
 
"Notte dei cristalli"
Kristallnacht. Identifica la notte dal 9 al 10 novembre 1938, durante la quale si scatenò in tutta la Germania la furia antisemita contro i negozi e le sinagoghe ebraiche. Quella notte furono attaccati e distrutti migliaia tra sinagoghe, negozi, uffici e abitazioni di ebrei e quasi duecento persone furono uccise. Il regime nazista utilizzò come pretesto per scatenare questa furia antisemita l'assassinio, avvenuto a Parigi il 6 novembre, del diplomatico tedesco Ernst von Rath da parte di un giovane esule ebreo, Hirsch Grynszpan.
 
 
Video: CRONOLOGIA DELL'ODIO
 
 
 


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Lo stalinismo
Dopo la morte di Lenin, Stalin divenne capo incontrastato del Partito comunista, vincendo l’opposizione di Trockij. A partire dal 1927 egli sviluppò una politica di industrializzazione forzata e collettivizzazione agricola. Lo strumento utilizzato per raggiungere questo scopo fu la completa pianificazione dell’economia e nel 1928 venne varato il primo piano quinquennale. Le risorse economiche necessarie per gli investimenti industriali furono tratte soprattutto dall’agricoltura. Nei confronti dei contadi che si opposero alle collettivizzazione Stalin reagì con le deportazioni di massa nei campi di lavoro. Con l’obiettivo di far diventare il paese una grande potenza industriale e militare, in Urss venne favorita l’industria pesante a scapito di quella dei beni di consumo.
Il totalitarismo stalinista ebbe il suo centro nel partito che si identificò con lo stato: per garantire la pianificazione economica e il controllo sociale, Stalin dovette sviluppare enormemente la burocrazia.
Tra il 1936 e il 1938 l’Unione Sovietica visse l’epoca del “grande terrore”, della polizia segreta e dei gulag: ogni possibilità di dissenso fu preclusa; dirigenti politici, funzionari, ufficiali dell’esercito, contadini, semplici cittadini vennero giustiziati o deportati. L’arte, la cultura, la scienza persero ogni possibilità di autonoma espressione.
 
-L’Europa tra fascismo e democrazia
A partire dal 1935 in Europa crebbe l’aggressività militare del fascismo e del nazismo: Mussolini e Hitler siglarono un’alleanza di tipo offensivo (Asse Roma-Berlino, ottobre 1936) destinata a sconvolgere i fragili equilibri politici internazionali.
In Spagna nel 1936 le sinistre ottennero un gran success elettorale. Le forze di estrema destra, alla guida del generale Francisco Franco, scatenarono una sanguinosa guerra civile e ottennero l’appoggio militare di Hitler e di Mussolini. In favore della repubblica si schierarono invece l’Unione Sovietica e gli antifascisti europei, che, riuniti nelle brigate internazionali, affluirono in Spagna per combattere contro i fascisti. Il conflitto fu vinto dai franchisti che instaurarono una dittatura destinata a durare fino al 1975.

Edmund Husserl

La Fenomenologia

 E. Husserl (1859-1938) nasce in Moravia e studia matematica e psicologia a Vienna. La sua vita è quella del docente e dello studioso, ritirata e priva di impegni politici. Parla di se stesso come un “funzionario dell’umanità”. Essendo di religione ebraica anch’egli subisce, tuttavia, le conseguenze della presa nazista del potere: per due volte, a Friburgo, viene sospeso dall’insegnamento perché non aderisce al regime (senza essere in alcun modo difeso dal rettore M. Heidegger, suo allievo prediletto, ma iscritto al Partito nazista). Muore nel 1938, lasciando un vastissimo corpus di appunti e inediti che solo gradualmente, dopo la guerra, hanno cominciato ad essere pubblicati.
 
Crisi europea e perdita di significato delle scienze
Alla metà degli anni ’30 Husserl presenta e analizza la crisi dell’umanità europea come crisi dovuta alle scienze e come crisi delle scienze. La crisi riguarda il significato che le scienze possono avere per l’esistenza umana. In un’epoca in cui ci si sente sempre più in balia del destino, la scienza sfugge ai problemi del senso o non-senso dell’esistenza umana. Le questioni del rapporto dell’uomo con il mondo naturale e umano, quelle della libertà e delle decisioni che l’uomo deve prendere: su tutto questo la scienza non ha nulla da dirci. Intorno al soggetto che la scienza non riesce a fornire risposte, perché si limita ad essere solo constatazione di ciò che è. Ma se ci si limita al mondo come un universo di puri fatti, non si è in grado di riconoscere il “senso” della realtà, dell’azione umana.
Secondo Husserl è arrivato il momento di un nuovo Rinascimento, recuperando ciò che già il Rinascimento, recuperando  ciò che già il Rinascimento aveva considerato essenziale nell’uomo antico: una considerazione razionale del mondo, regole per la vita umana fondate sulla pura ragione. “Una conoscenza universale del mondo, libera dai vincoli del mito e della tradizione”, libera dai pregiudizi, fa conoscere la razionalità del mondo, la sua finalità e “il loro più alto principio: Dio”. Una visione razionale della realtà e una capacità di plasmare la vita umana secondo razionalità: ecco ciò che manca.
In tale ambito è riaffermato il primato della filosofia, una filosofia capace di rendere libero l’uomo, una filosofia concepita non come attività privata e personale, ma come attività per l’uomo: “Noi siamo, nel nostro filosofare, funzionari dell’umanità”.
 
La filosofia come scienza rigorosa
Husserl intende affermare la filosofia come scienza rigorosa. Nella Filosofia come scienza rigorosa, egli critica la visione ristretta, riduttiva, del sapere scientifico che avevano i Positivisti, i quali riducono tutto a processi misurabili e quantificabili, giunge a considerare come una cosa anche la coscienza, a trasformarla in una realtà inerte, dimostrandosi del tutto incapace di dare e di trovare un “senso” alla realtà. Critica anche il psicologismo e il suo impegno mira a liberare l’uomo non solo dai presupposti e dai condizionamenti della psicologia, ma anche della metafisica: una ricerca volta ad individuare il fondamento originario, assoluto, della conoscenza.
 
L’epoché e la fenomenologia trascendentale
“Tornare alle cose” è il motto della filosofia di Husserl. E’un ritorno arduo, perché muove da una messa in discussione delle “certezze” immediate che l’uomo ha di sé, del mondo e degli altri. Bisogna abbandonare la “sicurezza” della rappresentazione naturale e ingenua del mondo per giungere alla visione fenomenologica, intesa come visione scientifica dei fenomeni. La Fenomenologia, infatti,  è scienza dei fenomeni, intesi come ciò che è dato immediatamente e con evidenza alla coscienza. Come Kant, Husserl cerca i principi fondativi dell’esperienza fenomenica; oltre alle forme pure e a priori dell’intuizione e le categorie dell’intelletto, viene indagato l’insieme dei principi della soggettività della coscienza (la quale comprende anche sentimenti, ricordi, volontà, percezioni..).
 
 
 
Secondo Husserl non ci troviamo subito dinnanzi alle cose, cioè ai fenomeni nella loro evidenza, ma in una situazione falsata da pregiudizi così consolidati e stratificati da apparirci come ovvi e normali. Per arrivare al fenomeno bisogna “mettere fra parentesi” sia l’atteggiamento spontaneo e naturale che conduce gli uomini ad accettare il mondo circostante così come si presenta, sia l’atteggiamento proprio delle scienze. Questa è la porta d’ingresso della fenomenologia: l’epoché, la riduzione fenomenologica. E’ un atto di “sospensione dell’assenso” (Il concetto di assenso, lat.assensus da assentire: approvazione, inteso come adesione volontaria della ragione alla realtà rappresentata e percepita in primo grado sensorialmente) che non ci fa più considerare “normale” una considerazione dei fenomeni come cose. L’epoché ci consente di assumere un punto di vista diverso, di poter indagare la realtà nel suo rapporto autentico con il soggetto che la conosce. In Husserl , comunque, l’epoché non ha il significato radicale che gli aveva attribuito Cartesio (dubbio metodico). Infatti non mette in discussione tutto il sapere, né arrivare ad uno scetticismo radicale. La sua non è una negazione scettica del mondo, ma il superamento dell’idea che il mondo sia come a “portata di mano”, pronto per essere da noi usato e “maneggiato”. L’atteggiamento del fenomenologo non è manipolatorio, ma disinteressato, teoretico, contemplativo. E’ sguardo che, nella sua purezza, descrive i processi che si svolgono nello scenario del mondo.

Il primo dopoguerra e l'avvento del Fascismo

In Italia il ritorno alla pace fu reso più difficile da numerosi problemi: uno di questi consisteva nel malcontento per l'esito dei trattati di pace che, contrariamente agli accordi del patto di Londra, non avevano portato all'Italia la Dalmazia e la città di Fiume. Anche il tentativo dello scrittore e poeta Gabriele D'Annunzio che, in nome del più convinto nazionalismo, aveva occupato con alcuni volontari, in modo del tutto arbitrario, la città di Fiume, aveva dimostrato che lo Stato italiano era troppo debole per imporre con chiarezza la propria linea politica. Questa situazione aveva diffuso l'opinione che per l'Italia si fosse trattato di una "vittoria mutilata".
Inoltre la crisi economica che aveva investito il paese aveva contribuito a ingenerare il grave fenomeno dell'inflazione; i reduci della guerra non riuscivano e trovare un posto di lavoro; i contadini e i braccianti non avevano ottenuto la terra come era stato loro promesso; gli operai chiedevano la riduzione a otto ore della giornata lavorativa; la disoccupazione minacciava molti strati della popolazione poiché la ripresa industriale stentava a decollare.
A seguito di questa situazione, gli anni compresi tra il 1919 e il 1921, furono definiti "biennio rosso", perché dominati dalla propaganda della Sinistra che, attraverso i consigli di fabbrica, e le manifestazioni che inneggiavano alla forza della classe lavoratrice, proponeva una serie di cambiamenti come quelli avvenuti in Russia. La classe dirigente era preoccupata da questo "pericolo rosso", che però non si rivelò mai troppo incisivo a causa della spaccatura della Sinistra: infatti il maggiore partito della Sinistra, il Partito Socialista, fondato da Filippo Turati nel 1892, era diviso nelle sue posizioni tra riformisti– che richiedevano il cambiamento attraverso una politica di riforme - e massimalisti – che richiedevano più immediati cambiamenti e in tempi più brevi. Infine dallo stesso Partito Socialista si distaccò, nel 1921, per iniziativa di Antonio Gramsci, il Partito Comunista Italiano.
Nelle elezioni del 1919 svoltesi con il sistema proporzionale - in base al quale il numero dei seggi venivano distribuiti proporzionatamente tra i partiti che avevano ricevuto il più alto numero di voti - i seggi in Parlamento andarono, oltre che al Partito Socialista e a quello Comunista, anche al Partito Popolare, fondato nello stesso 1919 da un sacerdote siciliano, don Luigi Sturzo che raccoglieva i voti dei cattolici ufficialmente tornati ad occuparsi di politica e a riconoscersi in un unico partito. Infine, 35 seggi andarono ai Fasci italiani dicombattimento, fondati da Benito Mussolininel 1919, destinati a diventare, nel 1921, Partiro Nazionale Fascista.
L'incertezza politica del momento consentì l'affermazione del Fascismo: il Movimento nacque a Milano nel 1919 e si caratterizzava per l'assenzadi un'ideologia chiara e coerente e per la straordinaria violenza con cui vere e proprie squadredi combattimento attaccavano gli operaiche scioperavano per i lorodiritti, o distruggevano le sedidei lavoratori. La loro azione non venne subito fermata perché considerata dalle classi borghesi, che temevano la reazione degli operai, come un mezzo per fermare i continui scioperi e le numerose manifestazioni. Infatti in un primo tempo l'azione delle squadracce venne considerata la manifestazione transitoria di irrequietudine giovanile. Il programma dei Fascidi combattimento prevedeva l'istituzione di un governo repubblicano ma con l'abolizione del Senato, il suffragio universale con il voto alle donne e agli elettori dai 18 anni di età, la giornata lavorativa a otto ore, i minimi salariali, l'affidamento alle stesse organizzazioni proletarie della gestione di industrie o servizi pubblici, la modificazione del progetto di legge di assicurazione sull'invalidità e sulla vecchiaia, abbassando il limite di età proposto attualmente da 65 a 55 anni. Con queste premesse il capo dei Fasci, Mussolini, il successivo 28 ottobre 1922 organizzò la cosiddetta "marcia su Roma" con cui le squadre fasciste provenienti da tutta Italia si ritrovarono nella capitale. Il re rinunciò a mandare contro Mussolini l'esercito ma gli diede invece l'incarico di formare un governo. Da subito il nuovo capo del governo poteva contare sull'aiuto delle classi borghesi e degli industriali, ma di fatto il governo da lui istituito divenne espressione del solo Partito Fascista, come erano stati ribattezzati i Fasci di combattimento.
Nelle elezioni del 1924 il successo del Partito Fascista fu schiacciante. Il deputato socialista Giacomo Matteotti, che ebbe il coraggio di denunciare in Parlamento i brogli elettorali, le minacce, le violenze e le intimidazioni delle squadre di cui ancora Mussolini si serviva, durante la campagna elettorale, venne rapito e poi trovato ucciso. All'annuncio in Parlamento dell'omicidio di Matteotti, Mussolini ammise le responsabilità sue e del Partito Fascista, ma si disse convinto di tali violenze per l'affermazione del nuovo governo. Ormai era la prova che le istituzioni non avevano più alcuna autorità.
 
 
 
Tra il 1925 e il 1926 il governo varò le primelimitazioni delle libertà di associazione e di stampa. Con una serie di leggi dette fascistissime aveva ormai fine lo Stato liberare ma si affermava lo Statototalitario: il Parlamento di fatto vedeva limitati i propri poteri a vantaggio dei poteri di Mussolini che era a capo di una dittatura con l'appellativo di duce. Da duce, cioè da comandante, Mussolini inserì i suoi uomini in tutti gli apparati dello Stato, reintrodusse la pena di morte, soppresse la stampa antifascista, sciolse tutte le associazioni di lavoratori e tutti i sindacati ad eccezione di quelli fascisti, istituì un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, fondò l'OVRA, (Organizzazione per laVigilanza e la Repressione dell'Antifascismo), una specie di polizia speciale, istituì le corporazioni, organizzazionidi lavoratori e di datori dilavoro che avevano lo scopo di avvicinare tra loro le classi sociali e di fatto di controllare eventuali oppositori al regime, infine istituì la "battaglia del grano", allo scopo di adeguare la produzione nazionale di cereali ai bisogni alimentari del paese, evitando di ricorrere alle importazioni. Nel 1928 sempre per diminuire le esportazioni e stimolare la produzione nazionale, iniziò un programma di bonifichedi terreni paludosi e avviò una convincente politica del consenso attraverso gli incentivi per l'aumento dellapopolazione e la nascita di attività disocializzazione per bambini, ragazzi, donne e lavoratori. Infine, consapevole dell'importanza dei voti dei cattolici, sanò una volta per tutte i rapporti tra Stato e Chiesa con i Patti Lateranensi, nel 1923, quando era papa Pio XI, che sancirono il rispettivo riconoscimento dello stato di Città del Vaticano da parte dello Stato italiano e del Regno d'Italia da parte della Chiesa. Inoltre la dottrina cattolica era riconosciuta come unica religione di Stato.
L'affermazione del regime era chiaramente avvenuta, destinata a durare per il cosiddetto ventennio: Mussolini governava con il consenso del re e del Parlamento. Chiunque osasse contravvenire alle imposizioni del regime fascista rischiava le prigione o il confino lontano dalla propria città di origine o la condanna a morte: questo destino toccò a convinti antifascisti tra i quali anche Antonio Gramsci.

KARL MARX

 

Confronto: SCHOPENHAUER e NIETZSCHE

 
 
"La vita è come un pendolo:
 oscilla tra la noia e il dolore"
(A. Schopenhauer)
Da giovane Nietzsche è un lettore di Schopenhauer e la sua filosofia prende direttamente ispirazione da quest’ultimo, ma con un capovolgimento decisivo nelle conclusioni. Schopenhauer aveva sostenuto la mancanza di significato dell'esistenza: la vita è per lui animata da una cieca volontà di vivere, che non conduce da nessuna parte, è appunto cieca, esclude ogni finalismo. L’uomo è strumento dalla natura, che usa i singoli individui come marionette. La vita è priva di senso. Ne consegue il pessimismo: non è possibile progettare alcunché, non è possibile costruire un destino significativo per sé o per l'umanità. La volontà di vivere deve per Schopenhauer venir estinta superando l'inganno, e giungendo alla noluntas, all'esatto opposto della volontà. La volontà di vivere deve capovolgersi nel suo contrario, bisogna approdare a quello che la religiosità buddhista ha chiamato nirvana: abbandono al nulla, estinzione di ogni moto di volontà. Schopenhauer vede nella volontà di vivere il cuore della realtà, l'equivalente della cosa in sé kantiana. Attraverso il filo di Arianna del corpo, egli identifica la cosa in sé nella volontà di vivere, ma la respinge, predica il suo superamento, indica la via della sua estinzione.
Nietzsche accetta questo discorso, ma non nelle conclusioni: se la volontà di vivere è il cuore della realtà, dobbiamo accettarla con tutte le nostre forze. La volontà non deve essere smorzata, estinta, superata nella noluntas, bensì dev’essere fatta nostra, dev’essere accettata. Dobbiamo coincidere con la volontà di vivere, dobbiamo affermare quella che diventa così la nostra volontà di potenza, dobbiamo voler coincidere col nostro destino.
 una stella che danzi.
F.Nietzsche
Uno dei motti più pregnanti di Nietzsche è: ego fatum, io sono il fato, coincido col mio destino. Per Nietzsche, la forza dell'uomo sta nella coincidenza con se stesso, nell'accettazione della vita, nella “fedeltà alla terra”. L'accettazione della volontà di vivere, che diventa volontà di potenza, implica una critica di tutta la cultura e la filosofia occidentali, critica a cui Nietzsche procede gradualmente, smantellando tutti i valori e i pilastri della civiltà occidentale, in quanto essa sarebbe fondata sulla rinuncia alla volontà di vivere

IL CONCETTO DELL'ANGOSCIA IN  KIERKEGAARD


  La possibilità è la categoria fondamentale dell'esistenza. La condizione di insicurezza, di inquietudine e di travaglio connessa a questa categoria è l'oggetto dei due scritti che, accanto alle "Briciole" e alla "Postilla", costituiscono il nucleo più prettamente filosofico del pensiero di Kierkegaard: "Il concetto dell'angoscia" (1844) e "La malattia mortale" (1849). L'angoscia è la "vertigine" che scaturisce dalla possibilità della libertà. L'uomo sa di poter scegliere, sa di avere di fronte a sé la possibilità assoluta: ma è proprio l'indeterminatezza di questa situazione che lo angoscia. Egli acquista la coscienza che tutto è possibile, ma quando tutto è possibile, è come se nulla fosse possibile. La possibilità non si riveste di positività, non è la possibilità della fortuna, della felicità, ecc.; è la possibilità dello scacco, la possibilità del nulla. L'angoscia è la condizione naturale dell'uomo. Essa non è presente nella bestia che, priva di spirito, è guidata dalla necessità dell'istinto, né nell'angelo che, essendo puro spirito, non è condizionato dalle situazioni oggettive. L'angoscia è propria di uno spirito incarnato, quale è l'uomo, cioè di un essere fornito di una libertà che non è né necessità, né astratto libero arbitrio, ma libertà condizionata dalla situazione, cioè appunto dalla possibilità di ciò che può accadere. E' generata dalla possibilità di poter agire in un mondo in cui nessuno sa che cosa accadrà. E' l'angoscia provata da Adamo posto di fronte al divieto di gustare i frutti dell'albero della conoscenza: egli non sa ancora in che cosa consista la conoscenza, non conosce la differenza tra il bene e il male, non comprende il senso del divieto stesso. Egli non sa che cosa accadrà, eppure è chiamato a scegliere tra l'obbedienza e la disobbedienza. Strettamente connessa alla categoria della possibilità è anche quella della disperazione, che è la "malattia mortale" di cui Kierkegaard tratta nel libro omonimo. Tuttavia, se l'angoscia è incentrata soprattutto sui rapporti tra il singolo e il mondo, la disperazione riguarda piuttosto quel rapporto del singolo con se stesso.
 

L'angoscia è la vertigine della libertà.
Søren Kierkegaard, Il concetto d'angoscia, 1844

L'angoscia è determinata dalla coscienza che tutto è possibile, e quindi dall'ignoranza di ciò che accadrà. Invece la disperazione è motivata dalla constatazione che la possibilità dell'io si traduce necessariamente in una impossibilità. Infatti, l'io è posto di fronte a un'alternativa: o volere o non volere se stesso. Se l'io sceglie di volere se stesso, cioè di realizzare se stesso fino in fondo, viene necessariamente messo a confronto con la propria limitatezza e con l'impossibilità di compiere il proprio volere. Se,viceversa, rifiuta se stesso, e cerca di essere altro da sé, si imbatte in un 'impossibilità ancora maggiore. Nell'uno come nell'altro caso, l'io è posto di fronte al fallimento, è condannato a una malattia mortale, che è appunto quella di vivere la morte di se stesso. Tanto l'angoscia,quanto la disperazione possono avere un solo esito positivo:la fede. Sia l'esperienza della possibilità del nulla propria dell'angoscia, sia quella della malattia mortale che rivela l'impossibilità dell'io, si risolvono soltanto quando l'uomo compie un salto qualitativo, aggrappandosi all'unica possibilità infinitamente positiva, che è Dio. Il credente non ha più l'angoscia del possibile, poiché il possibile è nelle mani di Dio; né il suo io si perde nella disperazione della propria impossibilità, poiché sa di dipendere da Dio e di trovare in Dio un sicuro ancoraggio. Il passaggio alla fede, tuttavia,è un salto senza mediazioni. La fede non può essere dimostrata per mezzo di analisi storiche e filologiche, né può essere fondata su una filosofia speculativa che la riconduca, come aveva fatto Hegel, a una determinazione della ragione umana. La fede è, piuttosto, il risultato di un atto esistenziale con cui l'uomo va al di là di ogni tentativo di comprensione razionale, accettando anche ciò che al vaglio della ragione o della critica storica appare assurdo. L'essenza intima della fede non è una verità oggettiva, determinabile con gli stessi strumenti di indagine con cui si analizza un fenomeno naturale o un problema logico-matematico. Al contrario, essa è soggettiva non nel senso di essere relativa e variabile, ma nel senso di essere fondata esclusivamente sul rapporto soggetto con la rivelazione divina. Nella fede ogni uomo è solo con Dio. La fede è data dalla fusione di quella manifestazione di temporalità, di finitezza,di possibilità, in una parola di esistenza, che è l'uomo, con l'elemento dell'eternità e dell'infinito. Con la nozione di momento Kierkegaard indica proprio l'irrompere dell'eternità nel tempo con cui Dio si rivela all'uomo. Nel momento l'infinito si manifesta al finito; cosicché nella verità che ciascun credente porta soggettivamente nel suo cuore è contenuta la stessa verità divina. Il Cristianesimo è quindi l'unica vera religione, poiché esso soltanto riesce ad esprimere questa verità per mezzo della dottrina dell'incarnazione di Dio.

 

ASPETTI DELLA FILOSOFIA DI KIERKEGAARD

 

In opposizione alla sistematicità di Hegel, Kierkegaard vuole essere un filosofo antisistematico. Al di lá della difficoltà di dare un inquadramento sistematico al suo pensiero, si può tentare di identificare alcuni concetti centrali della sua filosofia.
-ESISTENZA Il primo dei concetti-cardine della filosofia di Kierkegaard è l’esistenza. In contrapposizione all’essenza hegeliana viene messo al centro quello che è esistente, che ex stat, che sta fuori dal tutto, che si contrappone al tutto: l’esistenza è sicuramente la categoria centrale del suo pensiero.
-L’IRRIPETIBILE inteso come singolo
-POSSIBILITA’ contro la necessità hegeliana per cui c’è una razionalità del tutto, che percorre tutti gli eventi naturali e storici, Kirkegaard rivendica la possibilità: la dimensione esistenziale è caratterizzata dalla possibilità di scegliersi il proprio destino giorno per giorno nell’aut-aut
-ANGOSCIA Collegata alla categoria della possibilità è l’angoscia, per il motivo che abbiamo detto prima: ogni scelta mi mette di fronte al fatto che sono finito, quindi in ogni scelta, anche la piú banale, c’è l’orizzonte della mia fine, l’orizzonte della morte.
-DISPERAZIONE  La disperazione invece è uno stadio piú profondo, è la sfiducia nella possibilità di scegliere bene, è l’abbandonarsi alla convinzione che si è sicuramente dannati , che non c’è possibilità di salvezza.
-FEDE A quest’ultima categoria fa da contrappeso la fede: invece di cadere nella disperazione, nella convinzione che sono per forza dannato, posso fare la scelta di tuffarmi nell’assoluto, in Dio, e abbracciare la fede: la fede è la possibilità di salvezza che riscatta la disperazione. L’ultima categoria è decisiva, l’uscita dalla disperazione attraverso la fede: per Kierkegaard questo tuffo nella fede è un tuffo irrazionale.

ARTHUR SCHOPENHAUER







 Molti tratti della filosofia di A. Schopenhauer muovono da quella di Kant,  che egli considera il pensatore decisivo dell’età moderna. Un elemento che Schopenhauer riprende dal kantismo, fino a farne il punto di partenza della propria dottrina, è la distinzione tra fenomeno e noumeno. Per Schopenhauer la realtà, naturalmente, è una. Ma da una parte ci sono i fenomeni, che sono da considerarsi come semplici apparenze (ciò che egli chiama “velo di Maya”),  dall’altra esiste la “vera realtà” che sfugge alla conoscenza intellettuale. Dal primo punto di vista, il mondo è “rappresentazione”; mentre dal secondo, esso  è “volontà”. Questa, per Schopenhauer, è la cosa in sé, il noumeno kantiano. Per il filosofo,  il mondo al di là di ogni apparenza fenomenica, al di là di ogni rappresentazione, è volontà. La realtà percepita, conosciuta attraverso i sensi è   solo un'interpretazione (la rappresentazione) che ne dà il corpo e  l’uomo non arriva mai oltre la rappresentazione, ossia oltre il fenomeno. Per i filosofo, per fare ciò bisogna lacerare il Velo di Maya che ci imprigiona in una convinzione illusoria della razionalità del mondo e cogliere la realtà oltre l’apparenza e l’inganno.  Tutto nella natura è adempimento della volontà che  ci costringe a compiere cieche pulsioni dettate dalla volontà stessa. Da qui il pessimismo del filosofo : l’uomo si illude di essere libero, ma non è così;  le sue azioni non esprimono nient’altro che l’affermarsi di questa. La vita, che trascorre tra noia e dolore, appare del tutto priva di senso.