giovedì 6 giugno 2013


Hannah Arendt:

"LA BANALITA' DEL MALE"

 
 

 

 

Nel 1961 Hannah Arendt seguì le 120 sedute del processo Eichmann (il famigerato criminale nazista) come inviata del settimanale New Yorker a Gerusalemme. Otto Adolf Eichmann (nato nel 1906), era stato responsabile della sezione IV-B-4 (competente sugli affari concernenti gli ebrei) dell'ufficio centrale per la sicurezza del Reich (RSHA), organo nato dalla fusione, voluta da Himmler, del servizio di sicurezza delle SS con la polizia di sicurezza dello stato, inclusa la polizia segreta o Gestapo. Eichmann non era mai andato oltre il grado di tenente-colonnello, ma, per l'ufficio ricoperto, aveva svolto una funzione importante, su scala europea nella politica del regime nazista: aveva coordinato l'organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio.
Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo concludevano furono pubblicate sulla rivista e poi riunite nel1963 nel libro "La banalità del male" (Eichmann a Gerusalemme).In questo libro la Arendt analizza i modi in cui la facoltà di pensare può evitare le azioni malvagie. La banalità del male ha accentuato la relazione fra la facoltà di pensare, la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato, la facoltà di giudizio, e le loro implicazioni morali, compiti che sono stati estremamente significativi nel lavoro della Arendt fin dai primi scritti nel tardo 1940 del fenomeno del Totalitarismo.
Ciò che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidità ma qualcosa di completamente negativo: l'incapacità di pensare. Eichmann ha sempre agito all'interno dei ristretti limiti permessi dalle leggi e dagli ordini. Questi atteggiamenti sono la componente fondamentale di quella che può essere vista come una cieca obbedienza. Egli non era l'unica persona che appariva normale mentre gli altri burocrati apparivano come mostri, ma vi era una massa compatta di uomini perfettamente "normali" i cui atti erano mostruosi. Dietro questa "terribile normalità" della massa burocratica, che era capace di commettere le più grandi atrocità che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintraccia la questione della "banalità del male". Questa "normalità" fa sì che alcuni atteggiamenti comunemente ripudiati dalla società - in questo caso i programmi della Germania nazista - trova luogo di manifestazione nel cittadino comune, che non riflette sul contenuto delle regole ma le applica incondizionatamente . Eichmann ha introdotto il pericolo estremo della irriflessività.

 

VIDEO: Eichmann al processo in Israele

 

In un trattato scritto per un dibattito su "Eichmann a Gerusalemme" nel Collegio Hofstra nel 1964, la Arendt ha affermato che banalità significa 'senza radici', non radicato nei 'motivi cattivi' o 'impulso' o forza di 'tentazione'. La Arendt afferma inoltre: "la mia opinione è che il male non è mai 'radicale', ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, ed nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità"... solo il bene ha profondità e può essere integrale."

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