giovedì 6 giugno 2013

Edmund Husserl

La Fenomenologia

 E. Husserl (1859-1938) nasce in Moravia e studia matematica e psicologia a Vienna. La sua vita è quella del docente e dello studioso, ritirata e priva di impegni politici. Parla di se stesso come un “funzionario dell’umanità”. Essendo di religione ebraica anch’egli subisce, tuttavia, le conseguenze della presa nazista del potere: per due volte, a Friburgo, viene sospeso dall’insegnamento perché non aderisce al regime (senza essere in alcun modo difeso dal rettore M. Heidegger, suo allievo prediletto, ma iscritto al Partito nazista). Muore nel 1938, lasciando un vastissimo corpus di appunti e inediti che solo gradualmente, dopo la guerra, hanno cominciato ad essere pubblicati.
 
Crisi europea e perdita di significato delle scienze
Alla metà degli anni ’30 Husserl presenta e analizza la crisi dell’umanità europea come crisi dovuta alle scienze e come crisi delle scienze. La crisi riguarda il significato che le scienze possono avere per l’esistenza umana. In un’epoca in cui ci si sente sempre più in balia del destino, la scienza sfugge ai problemi del senso o non-senso dell’esistenza umana. Le questioni del rapporto dell’uomo con il mondo naturale e umano, quelle della libertà e delle decisioni che l’uomo deve prendere: su tutto questo la scienza non ha nulla da dirci. Intorno al soggetto che la scienza non riesce a fornire risposte, perché si limita ad essere solo constatazione di ciò che è. Ma se ci si limita al mondo come un universo di puri fatti, non si è in grado di riconoscere il “senso” della realtà, dell’azione umana.
Secondo Husserl è arrivato il momento di un nuovo Rinascimento, recuperando ciò che già il Rinascimento, recuperando  ciò che già il Rinascimento aveva considerato essenziale nell’uomo antico: una considerazione razionale del mondo, regole per la vita umana fondate sulla pura ragione. “Una conoscenza universale del mondo, libera dai vincoli del mito e della tradizione”, libera dai pregiudizi, fa conoscere la razionalità del mondo, la sua finalità e “il loro più alto principio: Dio”. Una visione razionale della realtà e una capacità di plasmare la vita umana secondo razionalità: ecco ciò che manca.
In tale ambito è riaffermato il primato della filosofia, una filosofia capace di rendere libero l’uomo, una filosofia concepita non come attività privata e personale, ma come attività per l’uomo: “Noi siamo, nel nostro filosofare, funzionari dell’umanità”.
 
La filosofia come scienza rigorosa
Husserl intende affermare la filosofia come scienza rigorosa. Nella Filosofia come scienza rigorosa, egli critica la visione ristretta, riduttiva, del sapere scientifico che avevano i Positivisti, i quali riducono tutto a processi misurabili e quantificabili, giunge a considerare come una cosa anche la coscienza, a trasformarla in una realtà inerte, dimostrandosi del tutto incapace di dare e di trovare un “senso” alla realtà. Critica anche il psicologismo e il suo impegno mira a liberare l’uomo non solo dai presupposti e dai condizionamenti della psicologia, ma anche della metafisica: una ricerca volta ad individuare il fondamento originario, assoluto, della conoscenza.
 
L’epoché e la fenomenologia trascendentale
“Tornare alle cose” è il motto della filosofia di Husserl. E’un ritorno arduo, perché muove da una messa in discussione delle “certezze” immediate che l’uomo ha di sé, del mondo e degli altri. Bisogna abbandonare la “sicurezza” della rappresentazione naturale e ingenua del mondo per giungere alla visione fenomenologica, intesa come visione scientifica dei fenomeni. La Fenomenologia, infatti,  è scienza dei fenomeni, intesi come ciò che è dato immediatamente e con evidenza alla coscienza. Come Kant, Husserl cerca i principi fondativi dell’esperienza fenomenica; oltre alle forme pure e a priori dell’intuizione e le categorie dell’intelletto, viene indagato l’insieme dei principi della soggettività della coscienza (la quale comprende anche sentimenti, ricordi, volontà, percezioni..).
 
 
 
Secondo Husserl non ci troviamo subito dinnanzi alle cose, cioè ai fenomeni nella loro evidenza, ma in una situazione falsata da pregiudizi così consolidati e stratificati da apparirci come ovvi e normali. Per arrivare al fenomeno bisogna “mettere fra parentesi” sia l’atteggiamento spontaneo e naturale che conduce gli uomini ad accettare il mondo circostante così come si presenta, sia l’atteggiamento proprio delle scienze. Questa è la porta d’ingresso della fenomenologia: l’epoché, la riduzione fenomenologica. E’ un atto di “sospensione dell’assenso” (Il concetto di assenso, lat.assensus da assentire: approvazione, inteso come adesione volontaria della ragione alla realtà rappresentata e percepita in primo grado sensorialmente) che non ci fa più considerare “normale” una considerazione dei fenomeni come cose. L’epoché ci consente di assumere un punto di vista diverso, di poter indagare la realtà nel suo rapporto autentico con il soggetto che la conosce. In Husserl , comunque, l’epoché non ha il significato radicale che gli aveva attribuito Cartesio (dubbio metodico). Infatti non mette in discussione tutto il sapere, né arrivare ad uno scetticismo radicale. La sua non è una negazione scettica del mondo, ma il superamento dell’idea che il mondo sia come a “portata di mano”, pronto per essere da noi usato e “maneggiato”. L’atteggiamento del fenomenologo non è manipolatorio, ma disinteressato, teoretico, contemplativo. E’ sguardo che, nella sua purezza, descrive i processi che si svolgono nello scenario del mondo.

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